Scatti
d'Africa

Nairobi, Agosto 2009: ha inizio uno dei più bei viaggi della mia vita. Colori sgargianti che non t'aspetti in mezzo al deserto, fisionomie scavate dalla fatica, imparare il valore dell'acqua, ma anche di una stretta di mano. Foto? Tante, come mai ne ho fatte in vita mia. Certo, per lavoro ho organizzato centinaia di viaggi, ma questo mi rimarrà sempre impresso perché ha coperto la zona meno conosciuta del Kenya, in quella fascia di terra brulla che ti porta dalla capitale al Sud dell'Etiopia, anche se preferisco sempre parlare di "frontiera del Nord". Perché questo non è Kenya, Etiopia o Sudan. È tutto questo insieme, e molto di più.


"Foto? Tante, come mai ne ho fatte in vita mia"


Il primo giorno ce ne stiamo a Nairobi, per fare provviste e incontrare le guide locali che ci accompagneranno. Dobbiamo essere indipendenti, con tutto il necessario, e avere con noi gente di quelle zone, perché si tratta di territori colpiti dal banditismo e flagellati da guerriglie tra popoli locali. Il mattino dopo si parte: con le tre auto, più il pickup di supporto, lasciamo Nairobi e puntiamo al lago Naivascia, anche se la nostra destinazione finale è il lago Bogoria, molto più a Nord. E così entriamo nella Great Rift Valley, il corridoio di roccia dove si dice sia iniziato il viaggio dell'uomo. Lo percorriamo dall'alto, ammirando paesaggi selvaggi, dai colori sempre diversi, per poi fermarci a Nacuru: l'ultimo avamposto del mondo civilizzato. Nel pomeriggio arriviamo al lago Bogoria: ricco di sorgenti calde, dalle acque sature di minerali che lasciano dei colori bellissimi su terra e rocce, e branchi di fenicotteri da immortalare in foto indimenticabili. L'indomani, sempre costeggiando dall’alto la Rift Valley, superiamo il lago Bogoria, passiamo il lago Baringo, e da qui iniziamo a vedere una natura più cruda, selvaggia.

Canon

Questa estate immagini perfette

Andiamo verso Maralal, zona piena di elefanti e bufali, dove montiamo il campo con dei guardiani Samburu. Iniziamo anche a incontrare le popolazioni meno conosciute. Come i Pokot, popolo nilotico-sudanese, dai vestiti e ornamenti coloratissimi, bellissimo da vedere ma non facile da fotografare: prima di scattare si deve contrattare il prezzo, possibilmente prendendo accordi col capo del villaggio. Le foto, in Africa, non si rubano mai.


"Uno spettacolo per gli occhi e per l’obiettivo, indispensabile per catturare l’emozione del momento".

Il giorno dopo, un continuo saliscendi, per una pista dura ma che ti regala panorami da togliere il fiato. Noi, sopra la faglia della Rift Valley, fino a duemila metri d'ltezza, con gli occhi che fanno male perché, per la prima volta in vita loro, non danno limiti al tuo sguardo. E nemmeno alla tua fotocamera. È sempre bene averla in mano, per cogliere l'attimo di uno scatto perfetto. Ci rimettiamo sulle jeep, verso la zona di Baragoi, dove si fermano anche i turisti più smaliziati, per lasciare spazio solo a chi fa le spedizioni più dure. Siamo tra questi.



Il giorno dopo, si parte per il Lago Turcana: a pochi chilometri dall'arrivo, le sabbie fanno posto a ciotoli neri, che trasformano i dintorni in un paesaggio lunare. Si fa avanti un gruppo di turcana: alti, scavati, nerissimi, coi tratti duri segnati dal luogo che li ospita. Ci chiedono, in modo non proprio gentile, dell'acqua, e gliela diamo. Dopo l'ncontro arriviamo al Lago Turcana, detto anche "il mare di giada": a seconda delle alghe presenti, infatti, il suo colore varia da un intenso blu al verde smeraldo, con migliaia di possibili sfumature intermedie. Uno spettacolo per gli occhi e per l'obiettivo, indispensabile per catturare l'emozione del momento.

E poi via, verso Loiyangalani, per riposare su un vero letto. Modesto, ma sempre meglio di una tenda. Una volta svegli, si parte alla volta del villaggio di Porr, dove hanno girato parte del film "Le montagne della luna". Da qui, qualche altra manciata di chilometri più a Nord, un po' più sotto del Sibiloi National Park. Poi via, verso la strada del ritorno, in mezzo ai deserti, tra cui quello del Chalbi e del Kaisut, dove s'incontrano piccoli gruppi di etnia Gabbra, Borana e Rendille, in sella ai loro cammelli, e piccoli branchi di Orix Beisha, struzzi e zebre di Grevi. Arriviamo a Wamba, ma qui preferisco fermarmi col racconto: è il ritorno al tradizionale percorso turistico, mentre mente e cuore sono rimasti lì, dove pochi osano, ma dove l'uomo è nato e dove, in cuor suo, ogni uomo vorrebbe tornare. Ed è questo che dovrebbe lasciarti ogni viaggio, l'amore per la terra che lasci e il ricordo di quello che hai visto e vissuto.

  • Published by Condé Nast

Questo non è Kenya, Etiopia o Sudan.
È tutto questo insieme,
e molto di più

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Scatti d'Africa

Un'avventuriera italiana e la storia del viaggio che, più di tutti gli altri, le è rimasto nel cuore. Da Nairobi al Sud dell'Etiopia, un’esperienza che ogni fotografo vorrebbe vivere.